La terra dei draghi

Gianluca Ricci

 

L’immaginario collettivo prevede che si riesca a collocare qualsiasi tipo di circostanza e fantasia all’interno di confini ben delimitatia

Anche se la scienza e le sue prerogative perdono di efficacia man mano che ci si addentra nei territori inesplorati della tradizione, il bisogno di tracciare nitidi contorni anche là dove le immagini si sfuocano e lasciano spazio a interpretazioni più che soggettive si fa comunque urgente.

Ecco perché quando gli sloveni, e soprattutto il suo efficientissimo ufficio turistico, spacciano la loro come la terra dei draghi, la reazione non è una scrollata di spalle e via, ma al contrario un interesse che spesso si traduce nell’organizzazione di un viaggio da quelle parti per verificare i motivi per cui si può fare una simile affermazione senza temere di essere seppelliti da grasse risate.

Eppure: eppure, se la Slovenia è stata ribattezzata “la terra dei draghi” e se nella città di Črnomelj si tiene ogni anno un festival dedicato al folklore quasi esclusivamente incentrato sulle leggende legate a quelle creature fantastiche, un motivo ci sarà.

Difficile che a provocare questo cortocircuito fra razionalità e fantasia sia stato il proteo, il piccolo anfibio che abita le migliaia e migliaia di cavità sotterranee di cui è costituita la terra carsica da quelle parti e che i contadini un tempo consideravano cuccioli di drago, forse per il loro aspetto, forse per le loro sbalorditive peculiarità considerate magiche, come sopravvivere oltre un secolo, resistere senza mangiare anche per un decennio e vagare per le grotte pur essendo completamente ciechi.

Ma alla fine il proteo è finito persino sul retro del tallero, la moneta che circolava nel Paese prima dell’adesione all’euro, e un drago è diventato il simbolo della capitale, Lubiana: la leggenda vuole infatti che il mitico eroe greco Giasone, durante le peripezie vissute per catturare il vello d’oro che gli avrebbe risolto un sacco di problemi, si imbatté da quelle parti in un ferocissimo drago e riuscì ad ucciderlo, liberando la città di Emona, che sarebbe poi diventata Lubiana, dalla sua ingombrantissima presenza.

Per celebrare quell’episodio e dare linfa vitale alle leggende costruite successivamente sulla predilezione che quelle creature leggendarie avrebbero avuto per la Slovenia, si è pensato bene di dare concretezza alle fantasie: e così lo Zmajski most, importante ponte cittadino, è stato decorato dall’inizio alla fine con grandi statue di draghi, particolarmente apprezzate dai visitatori più piccoli.

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E draghi se ne trovano anche nei dintorni, per esempio nei pressi del monte Konjiška gora, nella parte orientale del Paese: al suo interno si narra fosse nascosto uno di questi mostri che, per non accanirsi sui paesi del circondario, avrebbe preteso il sacrificio annuale di una bella fanciulla illibata.

Quando a diventare carne per drago toccò alla contessina Marjetica, il cavaliere Jurji, innamorato di lei, si oppose e uccise la bestia sanguinaria, con l’inevitabile lieto fine.

Il fatto poi che San Giorgio, il cacciatore di draghi per antonomasia, sia il patrono di numerosissime città del Paese certifica ulteriormente questa caratteristica.

Alle volte la potenza della fantasia riesce a sfondare il muro della ragione, anche se ogni tanto è bello abbandonarsi alle suggestioni dell’irrazionalità.