Birmania: il masso in equilibrio della pagoda di Kyaiktiyo

Di Gianluca Ricci

È noto che le popolazioni antiche possedevano modestissime cognizioni scientifiche e anche quelle poche che potevano vantare difficilmente riuscivano a basarsi sui presupposti considerati oggi indispensabili per poter essere giudicate tali.

A partire dai più banali fenomeni atmosferici, non c’è stata comunità al mondo che non abbia costruito impalcature fantasiose per provare a giustificare ciò che non era in grado di comprendere.

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E dunque via con divinità e mostri e creature eponime a cui sono state attribuite nei secoli capacità straordinarie e altrettanto straordinarie forze magiche. Ma grazie a loro le società si sono solidificate, riconoscendosi in elementi comuni e consolidando sulle credenze elaborate successivamente i presupposti per una civile convivenza.

Dai fulmini di Giove alla scopa della Befana, dai teschi del Mahakala buddista all’occhio dello scintoista Tsukuyomi è stato tutto un proliferare di leggende create ad arte per giustificare l’ingiustificabile, per offrire alla credulità popolare solide certezze su cui costruire l’esistenza di ogni individuo della comunità.

A venire trasfigurate in vicende epico-metafisiche non sono stati però soltanto i grandi eventi e le grandi manifestazioni della natura, dai temporali alla nascita dei vulcani, dalla neve alla formazione dei continenti, ma anche quelli più piccoli e apparentemente insignificanti.

Un esempio clamorosamente evidente è quello offerto dalla pagoda Kyaiktiyo, nello stato Mon del Myanmar, altrimenti conosciuto come Birmania. Si tratta di un piccolo monumento buddista alto solo sette metri, ma realizzato al di sopra di un enorme masso di granito in bilico su un dirupo e ricoperto da numerosi strati di foglie d’oro applicate anno dopo anno dai numerosissimi devoti che si recano in visita.

Tanto numerosi che, pur essendo un sito sostanzialmente minuscolo, risulta il terzo luogo di pellegrinaggio buddista più importante del Paese e qualcosa vorrà pur dire. La caratteristica che colpisce di più è il suo miracoloso equilibrio, visto che quell’enorme roccia, caduta chissà quando e chissà come per banali leggi della fisica oggi spiegabili con qualche semplice calcolo matematico, sembra sempre sul punto di precipitare nel dirupo sottostante.

Secondo le interpretazioni religiose a trattenerla al suo posto sarebbe una ciocca di capelli di Siddharta Gautama, ovvero il Budda storico, donata ad un eremita cha a sua volta la donò al re purché la nascondesse sotto una roccia che avesse le sembianze della sua testa.

Un arzigogolo di fantasia, ancora una volta, per giustificare il fatto che quel masso si trovi in posizione apparentemente precaria e da secoli invece non si sia mosso di un millimetro. Il re scelse quel luogo proprio per evitare che il sasso rotolasse nella scarpata, bloccandolo con i capelli miracolosi.

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Sasso che peraltro non sarebbe precipitato dall’alto, ma al contrario sarebbe stato portato appositamente in quel luogo su una barca, successivamente trasformata in roccia ed esposta in bella vista all’ingresso del santuario.

Sia come sia, chiunque si rechi in pellegrinaggio per tre volte in un anno in quel luogo, diventato nel frattempo sacro, si dice verrà ricompensato con ricchezze e una vita dominata dalla buona sorte.

Purché si tratti di un uomo e non di una donna, in accordo con la visione dei meriti del buddismo birmano. Altro buon motivo per preferire un’analisi più moderna delle dinamiche del mondo reale.