Il coccodrillo d’acqua dolce, una minaccia per i nostri fiumi

Di Gianluca Ricci

 

La bestia era lunga 2 metri e 74 centimetri e superava il quintale di peso, praticamente un dinosauro acquatico: l’ha tirata a riva dopo oltre venticinque minuti di combattimento sulle acque del fiume Tarn il tenace Jean-Christophe Conéjéro, un appassionato francese della pesca.

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Si tratta del pesce siluro più grande mai pescato ufficialmente, anche se un registro ufficiale delle catture di questo mostro d’acqua dolce non esiste.

Fra i rilevamenti documentati il siluro più grande pescato prima dell’exploit del francese era stato quello rimasto infilato all’amo di due fratelli mantovani, Dino e Dario Ferrari: una volta tirato in secca dopo una battaglia interminabile, misurava 2 metri e 67 centimetri. Misure comunque di tutto rispetto, che fanno di quel pesce un vero e proprio spauracchio sia per i pescatori sia per le altre specie ittiche, pressoché sterminate dalla voracità del loro parente gigante.

Lo chiamano anche “coccodrillo d’acqua dolce”, a conferma della sua natura predatrice, e pare sia arrivato nei nostri fiumi e nei nostri laghi dall’est Europa e dall’Asia centrale secondo modalità non del tutto chiare.

Che sia diventata una presenza “normale” è ormai assodato dalle catture sempre più numerose, che sia considerata una presenza sgradita è confermato dalla taglia che la Provincia di Rovigo ha istituito sulla sua testa, 26 centesimi per ogni chilogrammo, un’iniziativa già testata qualche anno fa che aveva permesso di eliminare dal Po 350 quintali di pesce.

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Oggi hanno calcolato che il pesce siluro da solo rappresenta più di un quarto della biomassa presente nelle acque dell’intero bacino del Po, una diffusione preoccupante ma soprattutto infestante alla quale pare non esservi rimedio.

È stata provata anche la cattura degli esemplari finiti nei canali di bonifica tramite elettrostorditore, ma si è trattato di un intervento poco efficace, anche perché mentre ne venivano pescati alcuni esemplari, gli altri nel frattempo provvedevano a rinforzare la specie con la deposizione di un numero di uova superiore a quello dei pesci eliminati.

La sua presenza nei corsi d’acqua italiani ha via via sostituito quella del luccio e soprattutto dello storione, ormai scomparso quasi del tutto. L’uno e l’altro sono ed erano due pesci particolarmente voraci, ma non ai livelli del siluro: d’altronde le loro dimensioni sono decisamente inferiori, come inferiori sono dunque le necessità di nutrimento.

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La loro sostituzione ha comportato grossi problemi a livello biologico: gli ecosistemi che l’hanno accolto si sono lentamente impoveriti e ora la quantità di pescato proveniente dalle acque infestate dal siluro è drasticamente diminuita.

A causa delle sue dimensioni questo pesce si trova in cima alla catena alimentare ittica e non esiste alcun predatore in grado di minacciarne l’estinzione, se non l’uomo. Purtroppo però le sue carni sono poco appetitose e vengono utilizzate per l’alimentazione umana soltanto nelle zone d’origine, dove grandi alternative non esistono.

Dalle nostre parti il siluro veniva pescato per sport fintanto che la sua diffusione era rimasta limitata ad alcuni corsi d’acqua, ma oggi l’uomo è stato costretto a trasformarsi nel suo più pericoloso predatore: là dove la natura non provvede, l’equilibrio deve essere riportato con sistemi artificiali. Sempre che si trovino pescatori sufficienti prima che la situazione sfugga di… lenza.