Altro che mare e sole, i greci sono gli stakanovisti d’Europa

di Gianluca Ricci

E adesso come la mettiamo con tutti quei pregiudizi? Come facciamo – anzi, come fanno – ad alimentare le perniciose canzonature con cui da tempo immemorabile quelli che abitano nel nord del mondo sbertucciano quelli che abitano invece più a sud?

L’Ocse infatti, e non una organizzazione di parte, ha certificato che i Paesi in cui si lavora di più sono, udite udite, Grecia e Italia, con l’incomodo Estonia a separare quelle che le economie di tutta Europa hanno sempre definito le pecore nere del sistema.

A dispetto di tutti i luoghi comuni è la Grecia a comandare questa speciale classifica, che a seconda del punto di vista di chi la osserva può offrire spunti di discussione positivi o negativi.

Fatto sta che comunque gli stakanovisti d’Europa non sono i tedeschi (26 ore settimanali la media) né i francesi (29), ma i greci, che con le loro 34 ore non temono confronto alcuno.

L’Italia si batte dignitosamente e con 33,3 si colloca sul gradino più basso del podio, ma pur sempre sul podio.

Tutto bene, dunque? Evidentemente no, ed altrettanto evidentemente si tratta di un parametro che, a dispetto dei tanti che si vantano di trascorrere più tempo dietro la scrivania che in qualsiasi altro luogo, di per sé non dice nulla se non collegato ad altre variabili che possono meglio caratterizzarne i contorni.

A detenere il record della disoccupazione nel continente infatti è sempre la stessa Grecia: se la media fatta registrare nella cosiddetta eurozona è pari all’8%, nel Paese ellenico le cifre sono ben più elevate, 38,5%.

Numeri in apparente contraddizione fra loro, ma non troppo: il fatto che a lavorare siano in pochi, probabilmente implica che le ore di servizio siano molto maggiori.

Una volta si diceva: lavorare meno, lavorare tutti, ma all’ombra del Partenone evidentemente chi un lavoro ce l’ha punta a mantenerlo a tutti i costi, compresa la disponibilità a fermarsi qualche ora di più per far fronte alla mancanza di forza lavoro.

Un conto infatti è assumere un dipendente per svolgere un certo tipo di attività, un conto invece distribuirla fra molti che già ci sono: chi lavora, lavora di più, ma lavora; chi il lavoro lo dà, invece, la dà a meno persone e dunque meno gli costa.

E in tempi di crisi non è certo il caso di mettersi lì a sottilizzare.

In Germania invece chi lavora è la quasi totalità della popolazione attiva (la disoccupazione è arrivata al 3,3%, risultati impensabili al di sotto di certe latitudini) e per di più lavora meno, pur percependo stipendi in media assai superiori rispetto a quelli che spettano ai loro colleghi di area mediterranea.

Ecco perché i numeri, anche quando sembrano parlare la lingua della positività, in realtà possono ingannare: il sistema economico si basa su un’innumerevole serie di variabili, che non sempre fotografano quello che sembrerebbero.

Serve sempre qualcuno in grado di selezionare e di abbinare: i famigerati addetti ai lavori, quelli che sulla mancanza di lavoro altrui o sulla sua ridondanza hanno costruito il lavoro loro.