Filippine, un patrimonio davvero nascosto

Si chiama Natuturingan, si trova nelle Filippine ed è una delle grotte più straordinarie del pianeta.

Talmente straordinaria che dal 1999 è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Al suo interno infatti, per l’incredibile lunghezza di otto chilometri, scorre il fiume Puerto Princesa, che una volta uscito dall’oscurità si getta nelle acque del Mar Meridionale Cinese.

Il fenomeno naturale è tale da aver costretto le autorità filippine a dichiarare la zona parco nazionale e a contingentarne gli ingressi, per preservare un sistema unico al mondo dagli eccessi del turbo-turismo. Il parco si trova infatti sull’isola di Palawan, la più grande fra quelle occidentali che costituiscono lo sterminato arcipelago che forma il Paese e la più vicina alla parte indonesiana della Malaysia, ovvero lo stato del Sabah. È considerata quasi unanimemente l’isola più bella del mondo, ragion per cui viene raggiunta ogni anno da frotte di visitatori, attirati là soprattutto dalla bellezza delle coste e del mare.

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Molti però dedicano qualche giorno anche alla visita dell’interno e non vogliono perdersi le meraviglie del fiume sotterraneo. L’imponente sistema di grotte di calcare che dà vita a quella che ufficialmente è stata inserita fra le sette meraviglie naturalistiche del mondo è diventato negli anni anche il rifugio di una nutrita serie di animali, che al suo interno ha trovato l’habitat ideale per vivere e riprodursi.

Oggi il Puerto Princesa è navigabile per ben quattro chilometri senza che vi siano grossi ostacoli naturali ad impedire alle barche di penetrare al suo interno: decine le camere, ognuna con le sue peculiarità, tanto che l’intero tour viene completato in parecchie ore. Le pareti levigate dallo scorrere impetuoso delle acque in milioni di anni hanno creato conformazioni che sono diventate fra le più ammirate dagli appassionati di fotografia, tanto che ogni due per tre le barche sono costrette a fermarsi per consentire ai visitatori di catturare qualche immagine di quelle meraviglie.

Il primo a parlare di quella che all’epoca sembrò una rivelazione difficile da credere fu il comandante della Marina inglese Bates, che annotò la scoperta nel suo diario di bordo nel 1850. Si dovette aspettare però il 1912 per la prima indagine speleologica, organizzata da professionisti statunitensi.

Da allora le spedizioni si sono susseguite a gran ritmo tanto che oggi lo sviluppo integrale del sistema è stato calcolato in ben 34 chilometri. Ma ai turisti bastano quei quattro visitabili con la barca per rendersi conto dell’unicità del fenomeno.

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Il suo fascino d’altronde è stato mantenuto intatto grazie all’assoluto divieto di intervento lungo tutto il corso: nelle grotte non sono state installate luci, a cui provvedono autonomamente gli equipaggi dei barchini che vi entrano; non è stato manomesso un solo centimetro quadrato delle pareti e dei passaggi rocciosi; non è stato realizzato alcun manufatto di cemento né all’ingresso da cui partono le visite né all’uscita. Ed è stata forse questa una delle mosse vincenti per rendere particolarmente suggestivo il parco naturale.

Rondini e pipistrelli continuano a frequentarlo dalla notte dei tempi e ad assicurare il mantenimento di uno speciale ecosistema che si basa sulla presenza del loro guano. Un estemporaneo tuffo nella natura ai tempi in cui i ritmi sul pianeta li dettava davvero lei.