Villaggi trogloditi abitati

Gianluca Ricci

Si trova a Kandovan, punto strategico dell’Iran nordoccidentale equidistante sia dall’Armenia che dalla Turchia, l’unico villaggio troglodita ancora abitato del pianeta.

Ciò significa che si tratta dell’unico agglomerato in cui uomini e donne abitano all’interno di case costruite nella roccia in pianta stabile, senza che questa particolare specificità sia legata a questioni turistiche, come per esempio accade in Cappadocia.

Il panorama è però più o meno il medesimo, ovvero piccoli e grandi coni frutto di una poderosa colata lavica proveniente dal vicino vulcano Sahand, ormai in quiete da 11mila anni, modellati dal tempo e dagli eventi atmosferici.

Si tratta anche del villaggio troglodita abitato per più lungo tempo, visto che gli storici sono convinti del fatto che i primi insediamenti da quelle parti possono risalire al 4mila a.C. Le prime testimonianze certe di permanenza all’interno dei coni lavici risalgono però a sette secoli or sono, quando tribù nomadi in fuga dalle invasioni mongole capitarono laggiù quasi per caso e provarono ad adattare ad abitazione quelle rocce cave.

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Il fenomeno viene oggi chiamato karaan, ovvero caverne abitate, ma difficilmente ci si riesce ad accorgere della presenza del villaggio se non ci si capita dentro. Da lontano le case sembrano fiammelle più o meno elevate di tufo prive di qualsiasi attrattiva che non sia paesaggistica, ma man mano che ci si avvicina si incominciano ad individuare le prime finestrelle, le prime porte, e poi gli scalini realizzati per salire di piano in piano o di abitazione in abitazione, fino a rendersi conto che quei buchi nella roccia nascondono vere e proprie abitazioni con tanto di abitanti: quasi seicento, per la precisione, che nel corso degli anni si sono dotati di una moschea, di una scuola, di un impianto termale pubblico e persino di un albergo per i primi curiosi.

Fortunatamente i flussi turistici non sono tali da dover far pensare all’inevitabile snaturamento della piccola comunità, un po’ come invece accaduto nei villaggi della Cappadocia che soprattutto negli ultimi decenni hanno venduto l’anima al diavolo e si sono trasformati in vere e proprie industrie turistiche. A Kandovan nulla di tutto questo: le abitazioni sono rimaste abitazioni e continueranno a rimanere tali per molto altro tempo.

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Pressoché identica la struttura per tutte, suddivise come sono in più livelli a ciascuno dei quali è destinata una finalità specifica: il pianoterra è adibito solitamente a stalla e ad ambiente per gli attrezzi da lavoro, mentre dal primo al quarto piano (anche se molte di esse si fermano al terzo) sono distribuite le stanze per la famiglia e i locali dove stoccare le derrate alimentari. La particolare struttura di quelle case permette infatti di mantenere al loro interno una temperatura più o meno costante, mai troppo elevata d’estate né troppo bassa d’inverno: le pareti risultano spesse anche due metri, un isolamento naturale contro gli sbalzi termici.

Particolare l’usanza di ricavare mobili, in particolar modo armadi per contenere i vestiti, scolpendoli direttamente nella roccia delle stanze. Un dettaglio di cui si deve essere piuttosto sicuri, visto che in questo modo ci si preclude la possibilità di modificare l’ordine del mobilio nelle stanze.