Bhutan: Taktsang Palphug, il monastero della felicitá

di Gianluca Ricci

 

È uno dei Paesi più poveri dell’intero continente asiatico, ma ciononostante risulta uno dei più vivibili, come dimostrano tutte le statistiche elaborate sulla base dei parametri guida per calcolare lo stato di benessere di un popolo: la percentuale di felicità percepita è la più elevata dell’Asia e, a seguire le analisi più recenti, l’ottava del mondo.

In Bhutan, insomma, si vive con poco, ma bene: pur essendo uno stato compresso fra due colossi come India e Cina abbarbicato ai piedi delle montagne più alte del pianeta, e dunque caratterizzato da un territorio difficile da percorrere e ancor più da rendere produttivo, tuttavia i suoi abitanti vivono costantemente col sorriso sulle labbra.

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Qualità dell’aria, livello di istruzione, salute e rapporti sociali sarebbero gli elementi che più di ogni altro contribuiscono a rendere i bhutanesi meglio disposti nei confronti dello scorrere del tempo di molti altri. Non a caso il monarca che governa in Bhutan sui suoi ottocentomila sudditi ha introdotto fra i parametri ufficiali di valutazione delle condizioni di vita il FIL, ovvero il tasso di felicità interna lorda, attendibile come e più di qualsiasi altro parametro economico, ma assai meno sterile.

Sempre più turisti raggiungono ogni anno quel minuscolo regno incastrato fra le catene montuose dell’Himalaya nel tentativo, se non di impadronirsi del segreto dei suoi abitanti, almeno di respirare la stessa aria di serenità e pace interiore. E se non ci riescono, possono comunque consolarsi visitando alcuni dei luoghi più belli del Paese, essi stessi meritevoli di tanto sforzo compiuto per arrivare fin lassù.

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Non è necessario essere atleti o trekker professionisti né tantomeno possedere brevetti di arrampicata per potersi divertire da quelle parti. Di più: non di sole montagne vive l’offerta turistica del Bhutan, che al contrario riesce ad adescare anche i viaggiatori più scafati con piccoli gioielli di grande, grandissimo pregio.

Uno fra tutti è la cosiddetta “tana della tigre”, ovvero il Monastero di Taktsang Palphug, scenografico complesso di templi buddisti diventato uno dei luoghi più sacri di quella religione. Si trova nel distretto di Paro, appollaiato su di un picco roccioso a 900 metri di altezza rispetto alla valle sottostante fin dal 1692, quando i monaci iniziarono la sua costruzione intorno alla caverna nella quale si racconta che il guru Padmasambhava avesse meditato per tre anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore nell’VIII secolo.

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La leggenda racconta che l’asceta sia stato trasportato fin là da una tigre, in cui però si sarebbe trasformata la moglie di un imperatore pur di apprendere i misteri della meditazione direttamente dal più grande di tutti. L’architettura è straordinaria, ma ancor più straordinaria è l’ambientazione paesaggistica, la vera molla che attira fin là centinaia e centinaia di visitatori.

Il monastero è infatti composto da quattro templi principali e da una serie di costruzioni destinate a residenza realizzate seguendo il profilo della montagna retrostante, decorati con dipinti che costituiscono oggi il più prezioso tesoro iconografico del Paese; all’interno del complesso il caratteristico pozzo dei fedeli, custodito da un monaco anziano, che ogni mattina alle 4 fa suonare le campane. Pur di agguantare un briciolo di felicità, d’altronde, questo e altro.