Senegal, un museo per celebrare la grandezza africana

Il Musée des civilisations noires, inaugurato da qualche mese nel bel mezzo del quartiere amministrativo di Dakar, la capitale del Senegal, ancora prima di essere aperto al pubblico aveva probabilmente già battuto un poco invidiabile record mondiale, ovvero quello della lunghezza più estesa dei tempi di realizzazione: ideato nel 1966 dal primo presidente del Senegal libero, l’intellettuale Léopold Sédar Senghor, l’opera ha infatti impiegato 52 anni prima di venire ultimata.

Un record vero invece lo può vantare ed è quello di essere l’unico museo del genere in tutto il continente africano, e dunque in tutto il mondo: si tratta infatti di qualcosa di più di un museo d’arte africana. È, secondo le intenzioni dei suoi ideatori, un luogo in cui conservare e custodire tutti gli oggetti e tutte le testimonianze che raccontino il percorso dell’Africa dai tempi di Lucy, l’australopiteco rinvenuto in Etiopia a cui si fa risalire l’origine del genere umano, a quelli della colonizzazione europea, a quelli più fecondi della libertà e dell’autonomia.

museo africano senegal

L’edificio è a forma circolare e si rifà nella sua configurazione alle mura di Grande Zimbabwe, Patrimonio dell’umanità dell’Unesco e capitale di un regno che nella notte dei tempi aveva portato benessere e sviluppo alle comunità dell’Africa meridionale. La superficie espositiva raggiunge i 14mila metri quadrati distribuiti su quattro piani ed è stata studiata per ospitare più di 18mila opere considerate significative per raccontare la storia del continente.

Molte di esse però si trovano nei musei di mezzo mondo, bottino di guerre predatorie combattute dai vecchi colonizzatori che, insieme alle materie prime dei Paesi assoggettati, portarono in patria pure straordinarie opere d’arte o di artigianato locale. È per questo che, almeno per i primi anni, il museo non ospiterà una collezione permanente, ma vivrà dell’esposizione di materiali e opere prestati dai Paesi che oggi li conservano nei loro musei.

Per l’inaugurazione è stato stretto un accordo in particolare con alcuni musei francesi, avvantaggiati dalla permanenza coloniale cessata solo nel 1960 dopo 14 anni di controllo amministrativo e commerciale.

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Dal Musée Branly di Parigi è giunta la maggior parte dei reperti esposti, visto che proprio là si trova una delle più ricche collezioni di oggetti africani giunti in Francia come bottino di guerra in epoca coloniale, ma è dal Musée de l’Armée che è arrivato uno dei pezzi forti di questa prima esposizione, dall’elevato valore simbolico, ovvero la sciabola di Al-Hagg ‘Umar, capo spirituale dell’impero Toucouleur, un territorio oggi situato tra Senegal, Mali e Guinea, sconfitto dai francesi nel 1864. Ad essi sono stati affiancati altri reperti che raccontano la storia del continente e cercano di farlo liberandosi dalla subalternità agli europei di cui gli africani ancora oggi soffrono.

D’altronde l’idea di Senghor era stata proprio quella di dimostrare al mondo che anche in Africa è possibile celebrare la grandezza degli uomini che l’hanno popolata mostrando ciò che sono stati capaci di fare. Secondo l’attuale dirigenza del museo, il Senegal potrebbe rivendicare più di cinquemila oggetti dai musei europei che li espongono al pubblico perché frutto di spoliazioni e rapine perpetrate nel corso dei decenni ai danni delle popolazioni residenti.

Sarebbe un giusto risarcimento, a ben pensarci, a chi all’evoluzione della storia dell’uomo ha dovuto pagare un enorme tributo.